MOCA – Museo di Arte Contemporanea di Bangkok: una storia in parte italiana
Le storie curiose sono sempre le più interessanti; quelle che alla fine ti viene da dire “non l’avrei mai detto”; quelle fatte da persone fuori dal comune che sembra quasi impossibile che il destino abbia riservato loro un percorso così bizzarro; quelle che si intrecciano e si evolvono creando dei legami sorprendenti. La storia del MOCA è una di queste.
Getta le proprie radici in epoche lontane per nascere solo una manciata di anni fa, il tutto grazie a 2 uomini eccezionali, visionari; il primo creatore del sistema artistico thailandese moderno e il secondo ideatore e promotore di una sua degna dimora.
Ripercorrendo questa storia in modo cronologicamente inverso, dobbiamo tornare 2012, quando Boonchai Bencharongkul, presidente della DTAC, secondo operatore mobile del paese nonchè 38° uomo più ricco della Thailandia, decise di dare dimora pubblica a parte della sua collezione artistica privata e allo stesso tempo regalare uno spazio di livello internazionale agli artisti nazionali più talentuosi: nacque così il MOCA, il primo museo privato di arte contemporanea della città.

L’edificio, progettato dallo studio PIA Interior Company (già protagonista di quel capolavoro di ristrutturazione di Lhong1919, LEGGI ARTICOLO) è esso stesso un’opera d’arte: monumentale, ritrae l’idea di un monolite granitico dalla forma trapezoidale con i suoi angoli acuti e ottusi che guardano la strada principale, dandogli ancora maggior personalità. Segno distintivo sono le finestre traforate che adornano entrambe i lati della facciata e che rappresentano incantevoli fiori di gelsomino che scendono lungo l’enorme parete, lasciando filtrare la luce in modo da creare motivi luminosi sui pavimenti interni. Emozionante.
All’interno dei suoi 20000 metri quadrati suddivisi su 5 piani, sono esposte più di 800 opere d’arte fra pitture e sculture sia di artisti nazionali che non; la disposizione e lo spazio sono studiati affinchè l’esperienza fruitiva sia la migliore possibile, con la luce che cade dall’alto e una divisione degli spazi ariosa e confortevole.
Ed è proprio parlando di opere e contenuti del museo che entra in gioco il secondo protagonista di questa storia, il professor Silpa Bhirarsi al secolo Corrado Feroci. (Che scherzi bizzarri questo destino, il padre dell’arte moderna thailandese un Fiorentino!)

Le vicissitudini del professor Feroci meriterebbero un articolo a parte, ma si potrebbero brevemente riassumere così: da anonimo insegnante in Italia scoprì un bando in cui il Reale Istituto del Siam cercava artisti italiani disposti a trasferirsi nel paese (sembra l’inizio di un romanzo). Il Re Rama V si era innamorato della monumentale bellezza di Torino e fece quindi arrivare, verso fino ‘800, ingegneri e architetti da tutto il Piemonte. Il figlio Rama VI continuò l’opera di modernizzazione e promozione delle arti e così, nel 1923, Feroci, iniziò la sua carriera come scultore reale. Fu, però, il ramo dell’insegnamento quello in cui brillò maggiormente arrivando a creare la prima università di belle arti che comprendesse corsi di pittura e scultura, architettura, archeologia e arti decorative. Il suo merito maggiore fu quello di spronare la creatività degli allievi, rifuggendo dalle semplici copiature, introducendo la conoscenza delle arti occidentali nel paese in modo intimo così da permetterne una loro rielaborazione che sfociò in forme, colori e linguaggi nuovi.
Il piano terra del Museo è appunto dedicato al professor Bhirarsi tramite una statua che lo rappresenta eseguita da un suo studente, una mostra permanente delle sue sculture e l’iscrizione del suo aforisma filosofico nel muro: “ Ars Longa Vita Brevis”, “l’arte è lunga , la vita è breve”.


Alcuni degli artisti esposti sono stati proprio studenti di Feroci mentre tanti altri fanno parte della nuova generazione e hanno studiato nell’università da lui fondata. Fra questi possiamo citare Chalermchai Kositpipat, famoso oltre che per i suoi dipinti dalle tematiche buddhiste inserite in ambientazioni oniriche, anche per aver realizzato il celebre Tempio Bianco di Chang Rai; Prateep Kochabua, con i suoi quadri surrealistici e visionari dove animalismo e nudità si mischiano e Preecha Pun-Klum che nel suo quadro intitolato “Glamourous Night In Bangkok” cattura con un vibrante puntinismo l’energia frenetica della città degli angeli di notte.



Particolare attenzione è dedicata all’artista da poco scomparso, Thawan Duchanee, il creatore della BaanDam di Chiang Rai. Per far meglio risaltare le sue opere in tinte quasi monocromatiche di rosso e nero, sono state pitturate le pareti delle sale a lui dedicate di questi 2 colori ed esposte le opere rosse sullo sfondo nero e viceversa, creando un forte impatto emotivo.
A mio avviso poco interessante la parte dedicata all’epoca vittoriana del quarto piano; al contrario ho amato quella riservata agli artisti stranieri con pezzi vietnanamiti e cinesi. La collezione di sculture, poi, è davvero ricca e al suo interno spiccano quelle di Paitun Muangsomboon dalle forme animalesche e dal taglio iperrealista.



Insomma, per descrivere nel dettaglio i singoli artisti e le opere esposte non basterebbe un libro e ci vorrebbe ben altra caratura di scrittore. Quello che vorrei aggiungere alle informazioni di servizio e alla splendida storia che ha fatto nascere questo museo, sono le emozioni, le sensazioni che la visita mi ha suscitato. Questo, per me, è stato il primo incontro con l’arte moderna e contemporanea Thailandese e ho deciso di presentarmi impreparato, senza sapere cosa aspettarmi…ed è stato meglio così. Come la prima volta che si assaggia un gustoso frutto o il primo viaggio in un luogo sconosciuto, il piacere e l’emozione della scoperta rendono l’esperienza più forte che le altre volte in cui si ripete l’azione. Il viaggio onirico che si compie nei 5 piani del museo è qualcosa di unico: l’arte Thailandese rispecchia l’impostazione mentale dei suoi abitanti: poco concreta, sognante, ricca di sfumature ma decisamente appassionata. La modernità, intesa come colori e situazioni, si coniuga perfettamente con le linee classiche della pittura e della scultura orientale. Le tematiche religiose sono spesso presenti, ma decontestualizzate e inserite in modo naturale in scenari onirici e surreali. Nelle opere dove invece si descrivono altri soggetti è incredibile come si possano vedere chiari riferimenti all’arte occidentale, moderna ma anche rinascimentale e classica. L’opera di Chutchai Saitong “First Glance” del 2012 mi ricorda l’eleganza dello stile neoclassico inglese, applicata a soggetti locali.

In “My Dearest Mother” di Suwanee Sarakana, ci vedo le linee inspessite di Segantini (per esempio Mezzogiorno sulle alpi), l’esotismo di Gauguin.



In Rateep Kotchabua, “At Your Back and Call” ci vedo un po’ di Bosch, come di Dalì.



A tutta quest’arte manca però la disperazione, il dolore dell’arte contemporanea occidentale. Mancano gli estremismi avanguardistici; dominano invece equilibrio, pace. La Thailandia non ha mai vissuto una guerra e forse per questo ha sviluppato questo tratto naive che si rispecchia nella vita di tutti i giorni, nei loro usi e costumi e in parte lo si può ritrovare anche nella loro arte.
Unico neo di tutta la storia è che non esiste una fermata della BTS vicina al museo e quindi essendo “scomodo” arrivarci è meno frequentato di quanto meriterebbe. Tuttavia sono 10/15 minuti di taxi da Chatuchak e dopo aver fatto il pieno di souvenir si può fare un bel pieno di cultura!
Orari:
Martedì – Venerdì 10 – 17
Sabato e Domenica 11 – 18
Prezzi:
250 bath per gli adulti (gratis sotto i 13 anni e sopra i 60 anni)
100 bath per gli studenti
499 Kamphaengphet 6 Road, Ladyao, Chatuchak, Bangkok 10900 Thailand